Sarah e le altre

Si chiamava Sarah Everard. La sera del 3 marzo camminava diretta a casa, ma non ci arrivò mai. Il suo corpo è stato ritrovato in una borsa il 9 marzo nella foresta di Ashford, nel Kent. Il riconoscimento è stato possibile solo grazie alle impronte dentali.
Il giorno prima era stato arrestato il poliziotto Wayne Couzens con l’accusa di averla rapita ed uccisa.
Nei giorni successivi i racconti delle violenze quotidiane subite dalle donne hanno invaso i media.
Viene fatto un appello per una veglia in memoria di Sarah e contro la violenza patriarcale. In 32 grandi e piccole città la gente scende in strada.
A Londra l’appuntamento lanciato per il 13 marzo dalle rete “Riprendiamoci queste strade” è al palco della musica di Clapham Common. Nonostante le organizzatrici avessero annunciato che la manifestazione si sarebbe svolta rispettando il distanziamento ed indossando le mascherine, la polizia vietava la veglia e minacciava multe di 10.000 sterline per le organizzatrici, che a questo punto si erano rassegnate, invitando a ricordare Sarah con una candela sulla porta di casa.
Non si sono rassegnate al divieto migliaia di donne che si sono recate lì dove Sarah era stata vista per l’ultima volta, portando fiori e candele.
Le donne hanno cominciato a parlare dal palco, mentre agenti donne le circondavano in modo discreto. Al crepuscolo la musica è cambiata all’improvviso: la polizia ha intimato alla folla che circondava il palco della musica di sciogliere la manifestazione e di tornare a casa. Qualcun* lo ha fatto, ma la maggior parte è rimasta.
In tante cantavano “vergognatevi!”.
L’intervento della polizia è stato brutale: hanno impedito alle donne di parlare, di ricordare una ragazza massacrata da un loro collega.
Cariche, pestaggi, fermi, quattro arresti.
Alcune, che si erano aggrappate ai pali del palco della musica, sono state strattonate, gettate a terra, immobilizzate e ammanettate.
I fiori per Sarah sono stati calpestati dagli stivali dei poliziotti.
In quella folla c’erano donne di ogni provenienza, alcune gridavano la loro rabbia: molte di loro, probabilmente, scoprivano in quel momento il volto dello Stato verso chi non accetta divieti.
L’indignazione per la brutalità poliziesca è immediatamente dilagata: le botte e i fermi si sono trasformate in un boomerang per la polizia metropolitana londinese.
La violenza dello Stato ha trasformato una pacifica veglia di lutto in una serata di protesta.
In Gran Bretagna ogni tre giorni viene uccisa una donna, le violenze domestiche sono in continuo crescendo.
Lì, come ad ogni latitudine del pianeta, la reazione del patriarcato alla libertà femminile miete vittime, perché la paura dilaghi e porti alla sottomissione, alla servitù volontaria, alla “prudenza”.
Le donne di ogni dove lo sanno bene e rispondono riempiendo le strade, riprendendosi la notte, per far sì che la paura cambi di campo, per rendere più libere e sicure le vite di ciascuna e di tutte.
Dopo la scomparsa di Sarah Everard le forze dell’ordine avevano consigliato alle donne di non uscire di casa la sera da sole. Un invito che la dice lunga sull’humus culturale dei tutori del disordine statale.
La polizia il 13 marzo ha agito al calar del sole, nel tempo negato, cercando di disciplinare i corpi e far tacere le voci. Non ci sono riusciti.
Domenica 14 marzo in migliaia hanno manifestato di fronte alla sede di New Scotland Yard, per poi proseguire in corteo verso Parliament Square, dove si sono distese in terra in ricordo delle donne uccise dalla polizia.
Il giorno successivo, sempre a Parliament Square, nuova imponente manifestazione “Kill the Bill” contro il “Police, Crime, Sentencing and Courts bill” il nuovo progetto di legge governativo che limita ulteriormente la libertà di manifestare.
Liberamente ispirato ad un articolo uscito su Organize!
www.anarresinfo.org

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